mercoledì 25 maggio 2011

Ambiente - 2


Sfido chiunque a sostenere di non provare benessere quando si immerge in un ambiente naturale, qualunque esso sia.
Ciascuno di noi ha le proprie preferenze circa i paesaggi e i luoghi, preferenze che si richiamano al proprio tono personale e alla personale esperienza. Ma tutti, proprio tutti, ci sentiamo bene su una spiaggia, in riva a un torrente, in mezzo a un bosco, in aperta campagna o anche solo nel giardino di casa.

Perché questo contatto ci procura tanto benessere? In massima parte perché riequilibra il nostro stato psico-fisico e ciò è dovuto al sintonizzarsi delle nostre vibrazioni fisiche e mentali con quelle della Natura, di cui siamo una manifestazione. In questi ambienti siamo più propriamente noi stessi, siamo portati a rallentare il ritmo, non solo delle nostre attività, bensì di tutto il nostro sistema corpo-mente. Rallenta il nostro sistema cardiovascolare, rallenta il nostro metabolismo, rallenta il chiachericcio mentale.

La sensazione di ben-essere informa l’organismo (e dovrebbe informare la nostra consapevolezza) che quella che stiamo provando è la dimensione corretta, il giusto modo di stare al mondo.
Nelle nostre vite quotidiane siamo continuamente distratti dal ricercare il benessere e pensiamo che ciò sia normale, che sia lo scotto da pagare al far parte di una società, all’essere produttivi. Pensiamo che la frenesia, la fretta, l’iperattività sia l’unico modo per rispondere alle richieste della nostra società, del lavoro, della famiglia. Releghiamo la ricerca del benessere alle ferie o ai fine settimana, che ovviamente spesso diventano un’ulteriore fonte di stress.

Il benessere è la condizione naturale che consente la perfetta funzionalità di un sistema organico, semplice o complesso, nello svolgimento di ogni sua attività primaria e superiore che possa esprimersi in modo efficiente ed efficace.
E questa condizione la si ottiene ritrovando la nostra naturalità. Non si tratta di un concetto astratto. Ritrovare la naturalità significa portare Natura nelle nostre vite, anche in modo molto semplice, introducendo una pianta o un animale in casa e prendendosene cura, ma soprattutto semplificando le nostre vite e creando quotidiani momenti di rallentamento.
Tali momenti possono proprio coincidere con l’accudimento che riserviamo ai nostri famigliari, al nostro cucciolo o al nostro ficus. Assolvere a un obbligo o a un impegno è lavoro, non accudimento. L’accudimento presuppone affettività. Dovremmo, in questi momenti, concentrare tutta l’attenzione, la calma e l’amorevolezza possibile.

Questi atteggiamenti ci riavvicinano alla nostra dimensione naturale e ci inducono una maggiore consapevolezza.

A presto.

mercoledì 18 maggio 2011

Ambiente - 1



Per l’architettura, l’ambiente è il territorio, con tutte le sue caratteristiche paesaggistiche e morfologiche e con il suo genius loci. È l’identità del luogo nel quale si inserisce l’elemento architettonico e con cui quest’ultimo entra in rapporto e dialoga (o dovrebbe dialogare).

Per la psicologia, l’ambiente fisico è “il di fuori”, direi “l’altro” da sé, ed è caratterizzato dalla sua proprietà di produrre stimoli che vengono percepiti, filtrati e interpretati dalla mente dell’individuo.

All’apparenza sembrano due punti di osservazione contrapposti. Nell’accezione architettonica, o urbanistica, sembra di trovarci di fronte ad una realtà oggettiva, sussistente indipendentemente dall’osservatore. D’altra parte, il punto di vista psicologico appare per definizione individuale, soggettivo e per questo meno “reale”.
Sappiamo bene che non vi è mai alcuna vera distinzione, tanto meno una contrapposizione, tra i diversi punti di vista che indagano uno stesso tema. Tutti i punti di vista sono veri. E sono particolarmente veri laddove si scova un principio comune che, in questo caso è dato dal concetto di “relazione”.
Concordo pienamente con Raimon Panikkar, il filosofo catalano, quando dice che “le diverse visioni del mondo sono i modi in cui gli uomini si rapportano alle cose” e che un oggetto è reale solo nel momento in cui entra in rapporto con un altro “non ci sono oggetti isolati che sussistono indipendentemente dagli altri, tutto co-è”.

Nel concetto di relazione entrano in gioco due elementi imprescindibili: lo spazio e l’energia. Dice ancora Panikkar “qualsiasi cosa esistente ha una relazione costitutiva con la materia/energia e lo spazio/tempo”. L’energia è la materia, in tutte le sue forme, da quelle più grossolane a quelle più raffinate, e quando entra in un rapporto di relazione si cala nella dimensione spazio-temporale dove siamo noi e tutto ciò che percepiamo, proviamo, pensiamo.
La fisica quantistica ci dice che la struttura della materia dipende dal tipo di vibrazione energetica che avviene a livello subatomico. Per cui, per certe vibrazioni “l’apparenza” materiale sarà quella di una pietra, mentre per vibrazioni ad altre frequenze avremo manifestazioni materiali di altro tipo, come i pensieri ad esempio. La stessa fisica, ci spiega come ogni cosa sia inserita in un continuum nel quale non vi è cesura di alcun tipo, l’universo è un unico campo energetico che localmente si condensa, per così dire, dando origine alle diverse forme di materia. Pertanto parlare di spazio come una porzione di vuoto (di assenza di cose) tra due gli oggetti, non ha più molto senso. Quello spazio è proprio il canale in cui di esplica la relazione tra quei due oggetti, che è sempre una relazione energetica.
Per questo, mi sembra interessante indagare proprio la nostra capacità di relazione, visto che “siamo” solo in quanto inseriti in un contesto relazionale di reciprocità, fosse anche solo con noi stessi.

Per parte mia, mi interessa capire la relazione che sussiste tra l’individuo e i suoi luoghi di vita e come questo interscambio incide sul reciproco benessere.
Ciò con cui entriamo in relazione è la nostra realtà, è il nostro ambiente esteriore e interiore, fatto di luoghi, di persone, di oggetti, ma anche di pensieri, di emozioni, di sensazioni e di interpretazioni. In questo senso siamo noi i creatori della realtà di cui facciamo esperienza e della qualità di tale realtà. Per questo è importante essere consapevoli del benessere nostro e di ogni cosa.

A presto.

sabato 14 maggio 2011

Mente - 1



La nostra mente opera a vari livelli e funziona secondo diversi modelli contemporaneamente.

Siamo in auto che guidiamo tranquillamente lungo un strada poco trafficata. Dopo oltre dieci anni di esperienza, la nostra guida è sicura e noi siamo perfettamente a nostro agio e rilassati. Mentre guidiamo, stiamo avendo un’interessante conversazione con il nostro amico a fianco a noi, abbiamo la radio accesa e i finestrini aperti in una splendida giornata primaverile. Teniamo d’occhio la strada, mentre continuiamo a parlare, e abbassiamo un po’ il volume della radio. All’improvviso sbuca un gatto dal ciglio della strada e noi freniamo bruscamente, evitando l’impatto. Dopo qualche secondo siamo inondati dall’adrenalina, abbiamo il cuore in fibrillazione e il fiato corto, sudiamo e cominciamo a capire lo scampato pericolo. Restiamo aggrappati al volante, il piede sul freno, finché non ci calmiamo...

Un esempio abbastanza classico e semplice per porci la domanda: di quante delle azioni descritte eravamo consapevoli? Ve lo dico io, tre:
- della conversazione con il nostro amico
- del dover abbassare un po’ la radio
- dello scampato pericolo
la nostra mente concia si è occupata solamente di questi tre eventi.
Ma, allora, “chi” ha fatto tutto il resto? “Chi” guidava e ci ha evitato un incidente?
La parte inconscia della nostra mente governa e gestisce il 95% di tutte le nostre attività (qualche studioso parla addirittura del 99%!) e questo significa che viviamo il 95% della nostra vita in modo inconsapevole.

Il nostro subconscio registra tutto dall’età prenatale in poi ed è particolarmente attivo fino ai 5-6 anni di età, quando si sviluppano maggiormente le facoltà cognitive. Gli EEG mostrano infatti le diverse frequenze dell’attività cerebrale che, sottoforma di onde, si modificano con l’età. Lo sviluppo della mante cognitiva va, in qualche modo, a sovrapporsi alla mente inconscia, relegandola ad un tono di fondo. Ma, lungi dall’essere zittito, il nostro subconscio, oltre a continuare la sua attività di registrazione, invia sempre per primo le risposte agli stimoli, attingendo da un enorme bacino di informazioni. A volte ci rendiamo conto che stiamo per avere una reazione “istintiva”, magari poco ortodossa in una certa circostanza, e decidiamo di cambiare comportamento, ma per lo più agiamo inconsciamente.
Ora, l’attività e le risposte comportamentali del nostro subconscio sono assolutamente indispensabili, specie quando si tratta di sopravvivenza. Nell’esempio precedente, le attività inconsce ci hanno permesso di guidare (attività fisica di grande coordinamento), di godere di una giornata primaverile e soprattutto di evitare un pericolo, il tutto “senza pensarci”. Chi non ha pensato, in realtà, è la sola mente conscia, occupata a conversare, mentre la mente inconscia pensava eccome e ha dato tutte risposte adeguate.
I problemi nascono, invece, quando deleghiamo il nostro inconscio a decidere per noi, a gestire fisiologia e comportamento, in circostanze che richiedono una maggiore elaborazione. Scelte complesse, decisioni importanti, relazioni interpersonali, sono situazioni nelle quali il modello reattivo del subconscio si rivela del tutto inadeguato, se non dannoso.

Conscio e subconscio costituiscono le due macro-sfere di attività mentale individuate dall’accademia, ma chissà cosa ci riserveranno le scoperte future... già oggi gli EEG di una persona in meditazione sembrano rivelare un’attività mentale ancora diversa, per non dire che le emozioni non vengono considerate un’attività mentale, almeno in occidente... vedremo. Intanto, con quel che sappiamo, possiamo già fare interessanti considerazioni, che svilupperò nei prossimi post.

Voglio concludere introducendo un secondo binario di funzionamento mentale. All’ormai universalmente accettato “modello elettrico” del nostro cervello si sta affiancando il “modello biochimico” e sembra che, se da un lato, l’attività elettrica del cervello ci informa su una quantità di aspetti, dall’altro, il fatto che la trasmissione di informazioni dal cervello a tutto l’organismo e viceversa avvenga per via biochimica (ad opera dei peptidi) apre degli scenari davvero sorprendenti!
Alla prossima.

venerdì 13 maggio 2011

Emozioni - 1


Quanto ci parlano di emozioni i media! Quanto sfruttano, smuovono, manipolano i nostri stati interiori per venderci qualcosa, qualsiasi cosa – prodotti e servizi, ma anche opinioni, credenze e valori, desideri, modelli di vita e di comportamento.
E quanto confondono emozioni e sentimenti...
Per "emozioni" o "stati emozionali", mi riferisco a precise condizioni psico-fisiche che non hanno ancora passato il filtro della nostra mente cognitiva per divenire presenti nella nostra consapevolezza ed eventualmente trasformarsi in sentimenti. Le emozioni sono condizioni pre-conscie che vengono detonate, nostro malgrado, da stimoli esterni o interni, per associazioni mentali. Parlo di quegli stati che condizionano la nostra mente e che percepiamo a livello fisiologico (normalmente nella parte toracica e addominale del nostro corpo), sui quali spesso non abbiamo il minimo controllo, sui quali non riflettiamo più di tanto e che il più delle volte non sappiamo nemmeno cosa li abbia suscitati. Li viviamo con una certa ansietà finché non passano e basta.
In occidente non esiste alcuna tradizione di "educazione mentale" che coinvolga tutti gli aspetti della nostra mente. La nostra cultura si è sempre concentrata sulla sola mente cognitiva, sulla sua parte logico-razionale, nutrendola di nozioni e informazioni e pretendendo il suo primato sulla mente inconscia - quel mare arcano, insondabile e temibile che ci ha tramandato Freud.
Per fortuna, dagli anni Settanta, le neuroscienze (considerate ahimè ancora oggi discipline “di frontiera”) hanno iniziato ad approfondire anche gli aspetti più reconditi dell’attività mentale, già presi in esame dai filosofi (uno per tutti Bertrand Russel) nei primi decenni del secolo scorso.
Anche la scienza sperimentale (e non più solo la Psicologia), pertanto, si è resa conto di alcuni “fenomeni” e che forse è possibile studiarli e ricavarne dati (quanto amiamo i dati!) da interpretare. Per ulteriore fortuna, molti neuroscienziati si sono resi conto che le tradizioni orientali indagano da millenni la mente e tutte le sue manifestazioni... incluse le emozioni. Dico “incluse la emozioni” perché è opinione comune considerarle altro dall’attività mentale, altro dal pensiero, come se le prime risiedessero nella nostra pancia, mentre il secondo nella nostra testa. In realtà tutto prende il via dal nostro cervello, infatti nella tradizione orientale non esiste nemmeno la parola “emozione”, è tutto pensiero, si tratta di stati mentali diversi ma della medesima natura.
In effetti il nostro mondo interiore, emotivo e mentale, ci sembra così esclusivo e personale che fatichiamo a immaginare meccanismi comuni a tutte le persone. Pensiamo al naufragio del nostro matrimonio e ci sembra che ciò che pensiamo e proviamo sia talmente individuale, talmente legato alla specificità nostra e della nostra esperienza, che mai nessuno potrà capire cosa ci succede. In parte è ovviamente così, ma esiste una quantità di studi ormai accademici che ci spiegano i meccanismi, i circuiti, le procedure che il nostro sistema corpo-mente attua di fronte a uno stress di quel tipo.
Capire questi meccanismi e acquisire la capacità di osservarli in azione e, magari, riuscire a intervenire per migliorarli, oltre che essere una meravigliosa avventura all’interno di noi stessi, si rivela un efficacissimo metodo per avere padronanza delle nostre scelte e delle nostre vite.

martedì 10 maggio 2011

Da dove cominciare...



Esiste una disciplina che si chiama Psicologia Ambientale e appartiene alla sfera umanistica. Pensavo che, per questa materia, con "ambientale" si intendessero solo l'ambiente famigliare, sociale, culturale con cui viene in contatto la psiche di un uomo. Invece ho scoperto che indaga anche gli effetti delle cose e degli ambienti costruiti, fisici, sulla mente dei soggetti.
Allora mi sono chiesta perché mai una disciplina così specifica e importante non sia materia di studio di chi un giorno progetterà e creerà questi ambienti. Perché mai i progettisti debbono rivolgersi a tradizioni orientali (penso al Feng Shui o al Vastu), così lontane e difficili, per integrare il proprio sapere tecnico con un sapere "umano".

Com'è noto in Italia, negli ambienti accademici vige uno spietato senso del "proprio orticello" in cui l'interdisciplinarietà viene a malapena intesa come uno scambio limitato alle materie e alle ricerche che rientrano direttamente e tradizionalmente nel proprio campo di competenza, meglio se entro le mura di cinta della propria facoltà.
Per questo pensare a una compenetrazione tra la sfera umanistica della Psicologia e quella tecnico-scientifica dell'Architettura e dell'Urbanistica sembra come voler mischiare l'olio con l'acqua.

Nella visione olistica, ormai universalmente accettata da tutta la Scienza moderna, del mondo, dell'uomo, della realtà, nella quale non è più concepibile scissione e separazione alcuna, ma dove tutto è in contatto con tutto e influisce su tutto, credo sia tempo per una seria riflessione sulla formazione accademica di chi è chiamato a creare spazi, involucri, "terze pelli" per gli uomini. Questi creatori di luoghi hanno una enorme responsabilità emozionale prima ancora che estetica.

Mi piace citare Beppe Grillo, che ha detto: "Gli architetti sono molto più pericolosi dei medici. L'errore di un medico, prima o poi, si seppellisce. Quello di un architetto rischia di rimanere per secoli a nuocere al prossimo".

Il fatto è che in Italia, ma non solo, non esiste una formazione "psicologica" per gli architetti. Esiste qualche materia che riguarda l'estetica, o meglio, la composizione architettonica che si richiama a canoni assolutamente astratti e vetusti. La bioarchitettura, poi, ci ha finalmente messo un po' più in contatto con l'ambiente e la sua sostenibilità. Ma noi architetti, a meno di approfondimenti e percorsi del tutto personali, siamo ben lontani dall'essere in grado di comprendere gli aspetti emotivi del nostro mestiere e di ciò che produciamo. Soprattutto di ciò che, con il nostro lavoro, produciamo sulla psiche degli altri.
La caratteristica di "emozionalità" di una cosa, di un prodotto o di un evento, sembra appartenere alle sole sfere della psicologia, dell'arte e del marketing. Credo che che questo aspetto debba, invece, essere integrato in modo preponderante nel processo di creazione di qualsiasi oggetto e di qualsiasi "situazione" che andrà a influire inevitabilmente sulle vite delle persone e sul loro benessere.

Nello svolgere la mia professione di architetto, ho sentito l'urgenza, direi etica, di indagare gli aspetti emotivi, consci e subconsci, che muovono chi crea e chi fruisce di quella creazione.
Questo blog vuole essere un posto dove esporre le mie idee, ma soprattutto una piattaforma di confronto e di scambio. Benvenuti!

Spero di interessare anche qualche mio collega...